UNA CANZONE CHE RECITA COSI’
Quando ero piccola avevo pochi sogni, un babbo troppo rigido, le lacrime facili, amiche con la puzza sotto il naso. Andavo a scuola dalle suore e la maestra aveva i capelli rossi e gli occhi celesti come il mare. A differenza di ogni bimba, avevo tre nonne e una tata, una famiglia troppo grande per i miei occhi piccoli. La sola cosa che cercavo erano le braccia della mia mamma che poco tempo aveva per abbracciarmi, doveva stendere pizze e fare i ravioli per i clienti fedeli alla pasta fatta in casa. Non ero l’unica figlia di questa grande tribù, ero l’ultima di due sorelle e un fratello e proprio perché ultima, dovevo accontentarmi degli avanzi, non per cattiveria, per necessità. Avevo i capelli come il sole, mossi abbastanza da sembrare Shirley Temple, tenera da strappare un complimento quando con la pannuccia fatta ad uncinetto servivo pane ai tavoli della pizzeria. La notte il mio orsacchiotto era il pollice che succhiavo quasi a consumarlo, era fedele ai miei bisogni e non mi lasciava mai sola. Non una foto che mi racconta piccola, quello che so dei miei tratti esteriori, è arrivato dai racconti che si facevano nelle feste comandate. Mi hanno detto che avevo gli occhi come il cielo, però oggi sono come un prato in pieno autunno, evidentemente ho imparato presto a guardare verso terra.
Nel cuore una punta di tristezza che oggi la racconta il mio sguardo labrador, e una canzone che recita così … “la lontananza sai è come il vento, mi sono illusa di dimenticare e invece sono qui a ricordare, a ricordare … “
Illustrazione: autore sconosciuto
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